Istinto di Pier Angelo Remelli- 3 parte Tutti i diritti riservati.
La magnificenza di questo luogo non si può affatto negare. L’erba, verde e florida, rende il terreno un tappeto morbido, mentre gli alberi che circondano il grande spazio erboso creano magici giochi di luce con i raggi di sole, che rendono le acque del lago variopinte come un arcobaleno. Ma è soprattutto la fauna che abita questo luogo a renderlo così affascinante ai miei occhi.
Leggiadre farfalle dalle ali variopinte e dal silenzioso volo; piccole e permalose api che danzano su grandi fiori profumati, succhiandone il nettare; lepri dal manto soffice e dalle lunghe orecchie che corrono persino più veloci di me. E poi lucertole che si sdraiano sotto il sole, uccelli che volano con libertà invidiabile per poi posarsi delicatamente su qualche masso. E come non nominare gli altri vari insetti, che a centinaia popolano il terreno e lo riempiono di vita e di movimento? Talmente tanti sono gli stimoli, che rimango seduta dove sono, indecisa sul da farsi. Papà, vedendomi chiaramente confusa, mi guarda, inclinando la testa di lato, come per cercare di decifrarmi.
«A cosa stai pensando?» mi chiede.
Ma, sinceramente, non lo so nemmeno io.
Alla fine, presa nuovamente da un’energia infantile, decido di rincorrere la prima cosa che vedo, un buffo uccello che emette un gorgheggio melodioso. È posato sopra una grande roccia, a qualche passo da me.
Dato che non trovo nessun posto in cui nascondermi, essendo in una radura, prevedo già di non poter riuscire ad ammirarlo a lungo. Queste creature alate, infatti, sembrano molto suscettibili ad ogni singolo movimento e stimolo visivo.
Decido di provarci comunque e comincio a correre verso la creatura canterina. Questa, come già avevo previsto, sbatte immediatamente le ali per librarsi in volo, ma non mi perdo d’animo e comincio a correre con immensa libertà, imitando l’uccello nella sua indipendenza naturale, senza perderlo di vista neanche un attimo. In breve tempo ho raggiunto il limite della radura e mi addentro tra i fitti alberi del bosco.
«Torna qui, dove stai andando?!» mi chiede Papà, ma io lo ignoro, troppo concentrata sul mio obiettivo per potergli dare ascolto e rinunciare al mio gioco.
Tra gli alberi mi è più facile nascondermi, ma correre e riuscire a rivedere l’uccello risulta di gran lunga più complicato, se non addirittura quasi impossibile. A malincuore, decido di rinunciare al piano e scelgo un’altra creatura su cui concentrare la mia attenzione.
Stavolta individuo un uccello più piccolo e meno reattivo, dal piumaggio marroncino chiaro con delle macchie bianche qua e là. Sta a terra, frugando tra il terreno con il becco e con le zampette alla ricerca di cibo.
Mi nascondo dietro un albero, attenta a non creare alcun rumore. Osservo il piccolo volatile alzare leggermente la testa, attento a fuggire al minimo segnale di pericolo, ma non vedendo nulla di anormale, riprende tranquillamente la sua ricerca. A quel punto, fiera di me, fletto le gambe e striscio senza far rumore, avanzando lentamente e in modo quatto verso la creatura, che con la testolina china a terra, è completamente ignara della mia presenza.
Giungo talmente vicina all’uccellino da poterne osservare ogni minimo dettaglio e caratteristica e poi, con un solo rapido movimento, scatto in modo fulmineo, afferrando con i miei artigli la piccola preda, che ora mi rivolge uno sguardo terrificato. Questo mio gesto, sia chiaro, è motivato dall’istinto innato di cacciare, catturare e uccidere più che da quello di sopravvivenza.
All’improvviso percepisco l’odore di Papà, che si sta avvicinando.
«Birba! Guarda cosa hai fatto!» esclama, spiazzato dalla vista dell’uccellino tra le mie zampe, al quale pulsa forte il cuore per la sorte prossima.
Un pulsare che mi fa sentire viva e trionfante.
Papà mi sgrida di nuovo, ma io non mi sento in colpa.
È la mia natura, e non posso farci niente.
E con questo pensiero azzanno la mia preda, guardando con sguardo innocente Papà.
Seconda parte
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Autore: Pier Angelo Remelli