Il segreto della capsula del tempo di Rita Serra
Il segreto della capsula del tempo di Rita Serra

Il segreto della capsula del tempo di Rita Serra

Il segreto della capsula del tempo
di Rita Serra - 1 parte
Racconto in esclusiva per blog.remelli.eu

Torino, 28 ottobre 1971

Mentre una folla di persone di diversa età si accalcava fuori dal Museo Egizio, per poter entrare nella sala dedicata al tempietto dell’Ellesiya, che era stata inaugurata appena un anno prima e che riscuoteva ancora enorme successo, un uomo si sedette in una delle panchine del parco là davanti. Aveva solo trentacinque anni, ma ne dimostrava molti di più a causa dei baffi scuri e sottili, dei capelli pettinati con la riga da un lato e impomatati. Osservava, attraverso le grandi lenti degli occhiali da vista, la vociante folla eccitata dall’attesa di poter ammirare il tempio rupestre che il governo egiziano aveva donato all’Italia cinque anni prima in seguito all’impegno dimostrato nel salvare diversi monumenti sacri della regione nubiana. Certo, era stato un lavoro ammirevole, perché quelli rischiavano di essere sommersi dalle acque del lago Nasser, ma a lui questo non importava. Non era lì per questo. La persona che stava aspettando non si decideva ad arrivare e il bello è che tutti lo chiamavano “lo Svizzero”. Fumò una sigaretta, per ingannare l’attesa e per calmare quel senso di impazienza che lo attanagliava. Poco lontano da lui, su un’altra panchina vicino a un castagno dalle foglie ingiallite, un senzatetto dagli abiti rattoppati si stava coprendo con un giornale. Finalmente lo Svizzero arrivò e l’uomo tolse fuori dalla tasca dell’impermeabile nero un piccolo libro e lo consegnò all’uomo che sembrava seccato. Come le volte precedenti, quello era arrivato in ritardo e aveva la faccia tosta di mostrarsi seccato. Non sopportava lavorare con lui, che andasse al diavolo. Dopo aver consegnato il libro, come da accordi precedenti, l’uomo se ne andò, lasciando lo Svizzero nel parco. Non poteva certo immaginare quello che sarebbe accaduto di lì a breve.

Appena l’uomo se ne era andato via spazientito, lo Svizzero si alzò dalla panchina con il libro in mano e si avviò per la sua strada costeggiando la via del museo. Mentre camminava lentamente, il dolore al petto che lo aveva portato ad arrivare in ritardo all’appuntamento aumentò a dismisura e l’uomo si accasciò sul marciapiede. Alcuni passanti lo soccorsero e quando arrivò l’ambulanza, l’uomo era già morto per infarto. Nessuna delle persone giunte sul posto si accorse del piccolo libro che, con la caduta dell’uomo, era finito vicino al cassonetto collocato nella rientranza del marciapiede.

Nel frattempo, dentro al museo, un ragazzino di dodici anni aveva visitato diverse sale insieme ai suoi genitori. Tre ore più tardi, mentre il corpo dello Svizzero era già stato portato via e la folla di soccorritori e curiosi si era dispersa, la famigliola uscì dal museo.

«Allora, Giovanni», gli disse sua madre, «sei felice del tuo regalo di compleanno?»

Giovanni sorrise soddisfatto, mentre scendeva gli scalini del museo, e camminando lungo il marciapiede si accorse di un libro vicino al cassonetto. Chissà chi lo aveva buttato, aveva la copertina un po’ piegata, ma sembrava nuovo! Il ragazzino raccolse il volumetto tascabile e lesse: «Kameraden. Sven Hassel. Papà, guarda, lo scrittore preferito del nonno! Posso prenderlo? Chissà perché lo hanno buttato: è quasi nuovo!»

Il padre annuì e il ragazzino si infilò il libretto in tasca, felice. Quel giorno aveva ricevuto due bellissimi regali di compleanno: una gita al museo egizio e un libro!

Nei mesi successivi, la scuola media frequentata da Giovanni propose il gioco della Capsula del Tempo e i docenti chiesero a ciascuno studente di portare un libro da custodire nella cassetta che sarebbe stata sotterrata per quarant’anni. Giovanni, che aveva letto il libro trovato vicino al museo, decise di donare quello perché, anche se la storia gli era piaciuta non gli andava di conservare nella sua libreria un libro pasticciato. Odiava persino scrivere sulle fotocopie distribuite dagli insegnanti, figuriamoci se riusciva a tollerare di conservare un libro che aveva delle lettere cerchiate qua e là e numeri pasticciati.

E fu così, che Kameraden rimase sepolto per quattro lunghi decenni, nel corso dei quali Giovanni crebbe e divenne professore di filologia all’Università del capoluogo piemontese.

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