Il segreto della capsula del tempo di Rita Serra – 8 parte
Il segreto della capsula del tempo di Rita Serra – 8 parte

Il segreto della capsula del tempo di Rita Serra – 8 parte

Il segreto della capsula del tempo
di Rita Serra - 8 parte
Racconto in esclusiva per blog.remelli.eu

Settima parte

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«Alfieri secondo trucchi» lesse Annalisa ad alta voce. Per me non aveva senso.

«Alfieri è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo…ma Trucchi, non mi pare di conoscere suoi studiosi con questo cognome», considerò il padre di Annalisa.

«E se fosse palazzo Trucchi?» chiesi. Mi era venuto in mente solo perché una sorella di mia mamma lavorava nella banca che aveva la sede in quel palazzo.

«Papà, Giulio ha ragione…Guarda! Internet mi dice che il palazzo Trucchi si trova tra la via Venti Settembre e la via Vittorio Alfieri! Oddio, ci siamo riusciti!» Esclamò Annalisa, guardando la mappa nel cellulare.

«Allora dobbiamo andare lì. Ma “secondo” cosa sta a significare?» chiese Roberto.

«E se fosse, secondo piano?» proposi. Il padre di Annalisa annuì e ci disse che ci avrebbe portato in macchina lì l’indomani pomeriggio. Entusiasti per il mistero quasi risolto, trascorremmo il resto del pomeriggio a leggere Kameraden e a continuare il riassunto. Una volta terminata la parte che ci eravamo prefissati di fare quel giorno, Annalisa ci salutò e ci diede appuntamento per il giorno seguente. Quella notte, dopo cena, pensai a cosa potesse esserci nel secondo piano del palazzo Trucchi, che sapevo essere da mia zia un edificio teatro di fatti misteriosi quanto orribili. Si narrava addirittura che il fantasma di una ballerina trovata morta durante una festa che si era tenuta lì secoli fa si aggirasse di notte tra le stanze. Meno male che la zia ci lavorava la mattina e noi ci dovevamo andare nel pomeriggio!

L’indomani alle cinque ci trovavamo tutti e tre col padre di Annalisa davanti al grande palazzo. Aveva una forma inquietante già dall’esterno e il cosiddetto “Portone del Diavolo” sembrava custodire chissà quali segreti oltre il battente di bronzo raffigurante il diavolo con tanto di corna e bocca spalancata.

«Mi sono informato da un collega che ha gestito la ristrutturazione anni fa. Pare che al secondo piano ci sia una parte che non è stata oggetto di restauro per via delle leggende sulle apparizioni di fantasmi», spiegò il padre di Annalisa. Roberto impallidì e chiese di tornare a casa, mentre Annalisa, che non sembrava più così entusiasta di volersi avventurare dentro a un oscuro edificio, disse che probabilmente dovevamo dare retta a Roberto.

«Oh, andiamo, ragazzi! Siamo qui! Non volete scoprire perché quarant’anni fa qualcuno ha lasciato un messaggio cifrato dentro a un libro? Chissà cosa c’è nascosto qui», dissi.

«Noi un sospetto lo abbiamo», disse un uomo alle mie spalle. Mi voltai e vidi che si trattava di un carabiniere con altri quattro colleghi. «Il signor Giovanni ci ha avvisato stamattina in caserma. Ci ha portato il libro e il messaggio decifrato e lì abbiamo capito che nel palazzo potrebbero avere nascosto un quadro che venne rubato nell’ottobre del 1971 in città durante una mostra itinerante. Alcuni trafficanti di opere d’arte erano attivi nel Nord Italia negli anni Settanta e rubavano quadri, statue e altri reperti antichi per rivenderli all’estero in cambio di soldi per finanziare le loro attività. Una banda attiva in quel periodo utilizzava il cifrario di Vernam per trasmettere i messaggi ai diversi componenti. E c’è un caso irrisolto proprio nel 1971. Uno dei complici venne arrestato perché colto in flagranza di reato di altro tipo. E, indovinate?» Restammo col fiato sospeso, in attesa della rivelazione. «Nella sua casa trovarono dei libri di Sven Hassel.»

«Quindi era il ladro che ha scritto il messaggio nel nostro libro?» chiesi. Annalisa aprì la bocca, stupita, mentre Roberto sgranò gli occhi.

«Esatto», rispose il carabiniere. «Era il mittente, ma morì in carcere, senza confessare dove avesse portato una delle opere rubate. Chi investigava al caso all’epoca conosceva bene il cifrario Vernam, perché era stato nell’esercito, e i testi inseriti nei libri erano addirittura in cifrato non binario, fatto che velocizzò le indagini. Decrittando i messaggi nei libri si era capito che l’ultimo colpo messo in atto dalla banda riguardava il furto di un quadro del pittore Gauguin, che però non venne mai trovato. Mancava infatti il messaggio riguardante il luogo in cui l’opera era stata nascosta per essere trasportata dal complice all’acquirente e mettere in atto la compravendita clandestina. Mancava esattamente il vostro messaggio. E loro due», disse indicando due carabinieri dietro di lui, «sono del Nucleo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale di Torino».

«Wow!» esclamò Annalisa, affascinata. Entrammo nel palazzo, al seguito dei carabinieri. Salimmo le scale e arrivammo al secondo piano, nell’ala che non era stata ristrutturata.

«Deve essere qui. Questo posto è famoso per le doppie pareti. Controllate ovunque», ordinò quello che, avevo capito più tardi, doveva essere il Maresciallo o il Capitano.

Mezz’ora più tardi, uno dei carabinieri chiamò il suo capo e, insieme ai colleghi, sfondarono un muro con degli attrezzi che si erano portati dietro e che nessuno di noi tre aveva notato. Dalla finta parete in cartongesso tolsero fuori una custodia a tubo di quelle che usano gli studenti dei geometri. L’aprirono e dentro c’era una tela. Indossarono i guanti e la svolsero piano piano per terra. Era il quadro di Gauguin.

«Ragazzi, i miei complimenti. Professore,», disse quello che pensavo fosse il Maresciallo. «lei, sua figlia e i suoi amici, avete dato un contributo fondamentale al recupero di un’opera che si credeva perduta. Per questo, credo sia doveroso dare l’annuncio a mezzo stampa e ringraziarvi pubblicamente nella scuola dei ragazzi. Che ne pensate?»

Io, Annalisa e Roberto cominciammo a urlare e saltare di gioia e suo papà ovviamente accettò.

Il giorno delle vacanze di Natale, la mia scuola organizzò l’evento nella palestra. C’erano un sacco di persone tra genitori, studenti, professori, il Dirigente Scolastico, i Carabinieri che avevano recuperato il quadro, alcuni giornalisti e poi anche alcune persone che non conoscevo. Il Preside cominciò il discorso e poi passò la parola al Maresciallo.

«Buongiorno. È un piacere, nonché un onore mostrarvi la tela recuperata all’interno di un’intercapedine oltre una parete di cartongesso al secondo piano del Palazzo Trucchi. Il recupero dell’opera è stato possibile grazie all’incredibile intuito di tre ragazzini di questa scuola: Giulio Musso, Annalisa Giraudo e Roberto Ferrero. Il trio ha ricevuto in sorte uno dei libri custoditi nella Capsula del Tempo e durante la lettura per un compito scolastico, i ragazzi si sono resi conto che nel libro compariva un codice. Un vero e proprio messaggio nascosto. Non riuscendo a trovare la chiave di decriptazione, hanno chiesto aiuto agli adulti, nella fattispecie al qui presente Giovanni Giraudo, Professore di Filologia Latina nell’Ateneo della città. Il professore ha trovato la chiave di criptaggio e ha capito che il messaggio era stato cifrato per mezzo del codice Vernam. Tale cifrario veniva usato ai tempi della Guerra Fredda dalle spie, per intenderci, ed è considerato uno dei cifrari perfetti. Una volta decifrato il messaggio, i ragazzi hanno capito dove fosse il luogo indicato e il giorno seguente il Professore è venuto da noi con il libro e con la trascrizione, poiché aveva intuito che potesse riguardare il luogo in cui si trovava nascosto qualcosa di importante. La nostra crittoanalista, la Dottoressa Silvia Canfora, ha confermato l’esattezza della decrittazione e in quel momento è scattato il blitz di recupero. Negli anni Settanta, infatti, vi erano stati furti di opere d’arte e sapevamo che la banda usava dei messaggi in codice trascritti nei libri dell’autore di questo stesso volume. Abbiamo collegato subito e così abbiamo trovato questa tela. Ora, voglio chiamare qui i tre ragazzi per consegnare loro una medaglia personalizzata come ringraziamento da parte nostra e il Professore. A lui, come ai ragazzi, va il ringraziamento e una targa commemorativa da parte della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della città di Torino.»

Ci consegnarono le medaglie e la targa e stringemmo tante mani. Eravamo felici.

«Non siete degli sfigati allora» esclamò Stefano, avvicinandosi a noi tre alla fine della cerimonia. Da quel giorno non ci avrebbe più preso in giro.

Settima parte

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